martedì 29 novembre 2011

Pànera







Ci scrive il segretario dei Liguri nel Mondo e della Delegazione San Paolo (Brasile) dell'Accademia Italiana della Cucina, chiedendoci la ricetta della famosa pànera, che gustava anni fa al bar Balilla di Genova. "Panna nera" ottocentesca, è un semifreddo deperibile, per favore non confondiamolo con prodotti commerciali. Ecco la ricetta (è molto semplice, già descritta dal Ratto e dal Rossi) insieme al nostro più cordiale arrivederci...



Ricetta (ingredienti e quantità)1 hg di caffè "arabica" macinato grossolanamente, 2 l di panna di latte fresca, 4 hg di zucchero

PreparazioneIn un comodo recipiente sciogliere il caffè nella panna, quindi mettere su fuoco tenue o ancor meglio cuocere a bagnomaria. Mentre s’avvicina al bollore aggiungere lo zucchero, girando con un mestolo o spatola di legno affinché si sciolga. Il composto, addensatosi, deve poi riposare fin quando il caffè non si sia posato sul fondo. Infine colarlo attraverso un panno filtrante fitto, “arrestando” il caffè. Si versa la pànera nella sorbettiera e il semifreddo è pronto (niente uova)… La preparazione senza sorbettiera finale la consiglio ad appassionati capaci e pazienti

Umberto CurtiLigucibario & Liguvinario
Storia e tradizione della pànera li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

venerdì 11 novembre 2011

Nikka domanda: cosa significa finger food?



...significa cibi di strada, stuzzichini, cartocci golosi da spiluzzicare ungendosi le dita… L’Italia intera ne è costellata, la schiscetta (con la mortadella) trasversalmente alla pianura padana da Lombardia ad Emilia, le focacce i frisceu i cuculli e le farinate in Liguria, i pesciolini marinati in Veneto, il panino col lampredotto nelle “buche” fiorentine, il “cinque e cinque” a Livorno (pane e cecìna), sgabei in Lunigiana e via via piadine in Emilia Romagna, lo gnocco fritto a Modena, l’erbazzone a Reggio Emilia, il pinzone a Ferrara, le olive all’ascolana, il panino con le spuntature anconetano, il pane e porchetta e i supplì di riso nel Lazio, la pizza i calzoni e i bomboloni (fritti) in Campania, i panzerotti a Foggia, il morzeddu in Calabria, gli arancini la panella e gli sfincioni in Sicilia… Ti è venuto appetito? Stai cercando un "pizzicagnolo"?



Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

giovedì 3 novembre 2011

CON GUALTIERO DA RONALD



Reputo deontologicamente doveroso, per chiunque si occupi d’enogastronomia, approcciare cibi e vini, interlocutori e contesti, senza farsi condizionare da alcun pregiudizio, con mente il più possibile libera, scevra da preconcetti. Così, anche a causa del battage pubblicitario (la notizia c’era ed era tosta), il 3 novembre a pranzo pure io ho varcato la soglia di un McDonald’s della mia città per assaggiare le due creazioni salate di Gualtiero Marchesi, ovvero i panini “Adagio” e “Vivace”. Sulla catena di fastfood più nota al mondo e sullo chef italiano forse più apprezzato a livello internazionale credo non vi sia alcunché da precisare. Così, dopo l’esperienza chiaroscurale di McItaly, la gamma di panini con prodotti italiani fra cui il formaggio Asiago, la bresaola valtellinese ecc., mi metto in coda davvero curioso di sperimentare questa nuova proposta “bifronte”, proveniente da una partnership del tutto inattesa. Il grande traghettatore della nouvelle cuisine, dell’”astrattismo” e della linearità nel piatto, il musicista prestato al risotto con la foglia d’oro e al raviolo aperto, stavolta alle prese con la ristorazione veloce di massa e con la voracità dei giovanissimi… Nel consueto trambusto, alle casse mi comunicano che purtroppo il “Vivace” è terminato, perciò mi dedico all’”Adagio”, un progetto che alla fine assembla pane cosparso di granella di mandorle, mousse di melanzana, pomodoro affettato, melanzana a cubetti in agrodolce, ricotta salata, hamburger 100% bovino. Prezzo euro 4,70, con tovaglietta omaggio, le calorie – confesso - non le ho controllate, ma presumo non siano uno tsunami. Vorrei abbinare un vino rosso fermo e garbato di quelli che aggradano a me, ma McDonald’s non contempla questa possibilità, dunque ripiego sull’acqua minerale naturale e, aprendo il suggestivo box cartonato, inizio il pasto. Odore fra il neutro e il piacevole, non resta ormai che addentare… Alla fine, l’impressione complessiva è abbastanza premiante, il panino – sebbene giuntomi tiepido più che caldo - è appetitoso, morbido, bilanciato e digeribile. Manca forse un tantino – pur conoscendo la filosofia della levità di Marchesi - d’identità, nel senso che né la ricotta salata né le melanzane riescono a conferire quel piglio che lo renderebbe più mediterraneo e sapido. Viene a mancare un intrigante gioco di contrasti (l’acido del pomodoro-il dolce della melanzana, la frutta secca-il formaggio “pungente”…) che gli ingredienti avrebbero forse maggiormente consentito, e alla fine sopra alle altre persiste in bocca la classica nota di carne, peraltro consueta di quasi tutto il menu McDonald’s. Questo, disinteressatamente, il mio punto di vista (in pagella, da 1 a 10, assegnerei un 6/7…). Questo il mio plauso ai protagonisti per aver tentato una "sfida" audace, che io valuterò nella sua pienezza assaggiando presto anche il "Vivace". Fatemi conoscere il vostro parere, cari lettori, e intanto buon test!



Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

martedì 7 giugno 2011

LE ANTICHE SALSE AL MORTAIO DELLA LIGURIA



Mortaio è parola che proviene dal latino mortarium, a propria volta da martulus = martello, alludendo ad un contenitore (caso per caso in metallo, pietra dura, marmo, vetro, porcellana…) dove si pestavano e quindi si “molivano” varie sostanze e ingredienti, fra cui spezie e frutta secca. Compagno di fatiche quotidiane, facile a pulirsi poiché non s’impregnava, antesignano del mixer, il mortaio fungeva anche da fermaporta. Il suo uso ricorreva tanto in laboratori/farmacie che in cucina. Si trattava certamente di un utensile diffuso, lo dimostrano anche vari proverbi fra cui ad esempio “pestar l’acqua nel mortaio” (nel senso di dedicarsi ad un’attività inutile) e “ogni mortaio trova il suo pestello” (nel senso che ogni donna, ancorché poco avvenente, incontra infine un uomo col quale maritarsi).
I materiali impiegati per la costruzione erano – come detto – vari (in Liguria ad esempio si finirà col privilegiare il marmo proveniente dalle vicine Alpi Apuane), ma varie erano anche le forme e le decorazioni che abbellivano l’oggetto. I più antichi ci giungono forse dall’area perso-egizia, e inizialmente “diffondono” mortai dalla circolarità pesante e un po’ sgraziata. Le anse per maneggiarli e ruotarli sono sovente teste di leone o bucrani, ovvero scheletri di teste di buoi come già – in marmo - nelle metope dei templi dorici, a ricordo del sacrificio rituale d’animali. La decorazione è incisa o nettamente rilevata, appaiono talvolta ageminature (preziosi intarsi di lamine e fili d’oro su altro metallo, battuti a freddo, con effetto policromo) che arricchiscono artisticamente l’insieme. Il Medioevo privilegia l’ottone, con ottimi risultati specialmente in tarda età, nel ‘400 si incontrano infatti snelli mortai d’area tedesca decorati con complesse, pregevoli immagini sacre. In Italia l’approccio e le forme rimangono più semplici, ma la robustezza e gli spigoli vivi restituiscono all’osservatore un’energia intensa, funzionale. Il Rinascimento rimpiazza l’ottone con le fusioni in bronzo, i rilievi sono compiutamente “scultorei”, via via il mortaio s’ingentilisce anche quanto a forme e allegorie. Ecco i fregi di putti con festoni e foglie d’acanto, ecco gli animali e gli stemmi araldici, che “blasonano” le famiglie e le collezioni più nobili. Ma l’arte non si separa dall’artigianato, questi mortai sono opera di fonditori di campane o di cannoni, fra i quali tuttavia spicca qualche nome – qualche officina - più noto e trendy d’altri: Guiduccio da Fabriano, il fiorentino Giuliano della Nave, Antonio de Vieni, Guglielmo dei Monaldi, Giuliano di Mariotto (insigni vasai di Montelupo), Crescimbene di Perugia, Stefano Parari, Antonio de Maria, Bartolomeo de’ Pesenti, il sommo Giulio Alberghetti. Verso il ‘600 s’affermano infine le forme cilindriche a bicchiere, di cui restano mirabili esempi d’area tedesca e dell’officina Enndorfer di Innsbruck (Tirolo).
In Liguria, il mortaio si lega a numerose salse, la più famosa è il pesto di basilico, pesto significa appunto pestato, implicitamente nel mortaio. Oltre a questa, s’incontrano l’agliata, il machetto, il marò, la salsa di noci e la salsa di pinoli (più rara, e solitamente levantina, la salsa di nocciole). Non di rado queste salse, sempre presenziate dall’aglio, accostavano carni e pesci lessi. Tutte le relative ricette (ingredienti, esecuzione, “segreti”) sono consultabili qui su Liguricettario.
Il pesto di basilico, “savore d’aglio”, è tuttora, forse, il più grande emblema della cucina ligure. E’ nato nella versione poi formalizzata intorno al 1830 (Ratto nella sua Cuciniera non specifica le dosi e vi aggiunge il burro), ma “riecheggia” il moretum, antica salsa aromatica dei romani contenente pecorino e aglio. Salubre, profumato, duttile, il pesto bilancia al proprio interno ingredienti che sono il vanto della ruralità locale (basilico, olio, aglio…), ma concedendosi una puntata in Emilia e in Sardegna coi due formaggi necessari alla realizzazione. Il parmigiano è quello di 24 mesi, così da poterlo bilanciare col pecorino, e la pasta sia sempre quella secca di grano duro. In origine salsa da bollito, che d’inverno doveva fare a meno del basilico, si ama leggermente più puntuto a ponente, a levante si aggiunge prescinsêua (cagliata), mentre a Sarzana (SP) sulle trenette al pesto si sovrappongono le zucchine – a rondelle - . Il cosiddetto pesto corto aggiunge una dadolata (brunoise) di pomodoro e sottrae quasi interamente l’aglio. L’azienda “Crespi & Figli” di Ceriana (IM), attiva dal 1925, ha conseguito nel 2004 – prima azienda in Italia – l’UNI 10939 per la tracciabilità dell’intera filiera. Se non disponi del mortaio, utilizza il mixer a velocità minima e intermittente, raffreddando preventivamente le lame, per non “bruciare” le nobiltà olfattive e gustative del preparato. Per altre notizie ti suggerisco anche il volume Pesto e mortà (1980) dell’insigne Aidano Schmuckher.
Il pesto, da sempre, si consuma e dà il meglio di sé con le lasagne (in dialetto mandilli = fazzoletti), con le trenette, con le trofie - che parrebbero originarie del Golfo Paradiso - , con gli gnocchi. E’ presente, di solito nella variante senza pinoli, anche (per dargli un tocco di sapore) nel minestrone di verdure cosiddetto alla genovese, che tuttavia è vanto anche dell’area di Sestri Levante (GE) e che chiede preferibilmente 4 specifici tipi di pasta: i brichetti, lo scuccussùn, i maccheroncini o le tagliatelle. Il vino in abbinamento non può che essere il Pigato, dissento dal Rossese di Albenga.
Il pesto è una ricetta ingegnosa, 7 materie prime s’amalgamano lavorate da un pestello di bosso (o comunque di legno duro) dentro un mortaio di marmo, non dimentichiamo che la Liguria di levante confina con l’area di Carrara e la cultura del riutilizzo e della parsimonia, in cucina e fuori, ha rappresentato a lungo una dote primaria. Il basilico si coglie splendidamente a Prà, sulle alture di Genova, dove sole ed aria marina lo rendono diverso da qualunque altro, mentre l’aglio proviene viceversa da Vessalico, grumo di ruralità serena adagiata lungo il corso del torrente Arroscia, fra la provincia di Savona e quella di Imperia.
Sul web, da anni, i siti in varie lingue dedicati al pesto non si contano. Ciò conforta e allarma ad un tempo, perché il pesto è ormai una produzione fra le più imitate e falsificate al mondo.
L’agliata è una semplice salsa a base d’aglio, tipica – ad esempio – del territorio di Vessalico (IM), in Valle Arroscia. E’ la più antica, se ai macelli di Soziglia (Genova) nel 1152 già accompagnava fegati e frattaglie, notoriamente deperibili. E forte tanto da far nascere in passato l’espressione “tempesta con l’aggiadda” per alludere a una tempesta terribile. Un tempo – a bordo delle navi… - si amalgamava con l’agresto (succo di uve acerbe), oggi la differenza sta tutta nell’olio. E’ perfetta in accompagnamento a verdure lesse, lumache, fegato, baccalà fritto, gallina ripiena, pane di Triora (IM). Prende il nome di “aglione” quando più piccante (condimento toscano). Nella ricetta possono entrare la cagliata, un tempo assai reperibile, o la robiola. Ad esser rigorosi, il sapore pungente impedisce un corretto matrimonio col vino. Questa salsa s’apparenta con alcune preparazioni spagnole, provenzali, siciliane, greche, turche.
Il marò di fave è una salsa ponentina (ormai introvabile) a base di fave novelle, dette dialettalmente basann-e, aglio, un poco di menta, olio e aceto, talora “coniugata” a pecorini brigaschi. Se si utilizzano fave secche decorticate, devono sobbollire in acqua e aromi per una mezz’oretta. Si fa anche di cannellini e maggiorana. Accompagna pani, baccalà e carni (la menta allevia i grassi), però occorre lasciarla un po’ liquida. La parola è dall’arabo mar-a = salsa.
Il machetto è una salsa a base di sardine intere (oggi – in genere - di acciughe), macerate 6-7 settimane in sale grosso, rimescolando ogni 2 giorni. In Liguria rappresenta quanto di più avvicinabile all’antico e “devastante” garum, sebbene il poeta Marziale nomini anche una versione più lieve, “amicorum”. Si mangiava con pane e focacce, anche con trenette ben al dente. Sta cadendo ahimé in disuso.
Infine, la salsa di pinoli è la compagna perfetta dei corzetti polceveraschi. Mentre la salsa di noci (dove la mollica bagnata nel latte compensa l’amaro dell’olio delle noci) è già nella Cuciniera del Ratto, le noci giunsero a Genova un millennio fa, dalla Persia attraverso i Balcani, oggi non possono esistere pansoti che ne facciano a meno.
In occasione dell’evento tematico organizzato da Ligucibario e da “Il pernambucco della contessa” (magnifico agriturismo sulle prime alture di Finale Ligure), la ruralista Maria Grazia Bianco, dell'Associazione Italiana Etnogastronomi, ha ripercorso e realizzato tre di queste salse, la salsa di pinoli, la salsa di noci e l’agliata, accostando pani e focacce da lei personalmente preparate con varie farine, e abbinando alle prime due salse – più delicate - un DOC Vermentino riviera ligure di ponente Fontanacota, alla terza – più aggressiva - un DOC Vermentino Colli di Luni Zangani. Grande apprezzamento da parte dei presenti, ma del resto c’era bisogno di precisarlo?!



Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

martedì 10 maggio 2011

Insalata di arance







ARANCE - UN MINIRICETTARIO


Tre ricette (oggi la terza ed ultima) con le arance, dopo il bell'evento "Pernambucco e bergamotto" che l'Associazione Italiana Etnogastronomi ha tenuto il 3 maggio scorso a Genova, sviluppando il tema agrumi fra storie, ricette, profumi, itinerari...




tempo pochi minuti
difficoltà nulla

ingredienti
4 arance Pernambucco, mezz’etto di olive nere, 1 spicchio d’aglio preferibilmente di Vessalico (IM), olio extravergine DOP riviera ligure, sale q.b.

esecuzione
è un’originale, salubre ricetta soprattutto siciliana, che avvicina bene le carni sia lesse sia brasate. Col coltello asportare la buccia e – con cura – la pellicola biancastra, quindi lavorare le arance a fettine sottili e porle in un’ampia ciotola preventivamente strofinata con l’aglio (come si fa con le bruschette). Salare, aggiungere le olive e mescolare, infine oliare. L’insalata, gustosissima, è già pronta. Può essere arricchita con fettine d’uova sode. L’abbinamento enologico è problematico





Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

lunedì 9 maggio 2011

Rollé di coniglio al basilico e spicchi d’arance




ARANCE - UN MINIRICETTARIO

Tre ricette (oggi la seconda) con le arance, dopo il bell'evento "Pernambucco e bergamotto" che l'Associazione Italiana Etnogastronomi ha tenuto il 3 maggio scorso a Genova, sviluppando il tema agrumi fra ricette, storie, itinerari, profumi...




tempo ore 1,5
difficoltà media

ingredienti
1 coniglio già disossato in macelleria, qualche rametto di basilico fresco, 2 cucchiai di senape dolce, 1 scalogno non troppo “aggressivo”, 1 hg di pecorino non molto stagionato, 1 bicchiere di vino bianco secco (ad es. Vermentino), 2 cucchiai di miele d’acacia, 2 cucchiai d’olio extravergine DOP riviera ligure, brodo, sale q.b., 2 arance Pernambucco, altri 2 cucchiai di miele d’acacia

esecuzione
stendere il pezzo di carne di coniglio sul tagliere e salarlo, poi coprirlo con uno strato di foglie di basilico e col pecorino tagliato a dadini. Arrotolarlo e fissarlo con spago gastronomico. Spennellare l’esterno con la senape e porre il rollé nel tegame, con l’olio – non eccedendo - e lo scalogno già tritato. Via via che rosola bene e interamente, innaffiare col vino e concludere la cottura nel forno preriscaldato, circa 40 minuti a 180°, con l’avvertenza di bagnare periodicamente il rollé con un po’ di brodo caldo. Terminata la cottura spennellare il rollé a caldo anche col miele. Ora sbucciare le arance Pernambucco, asportando dagli spicchi la pellicola e i semi, quindi “caramellarle” rapidamente in un po’ di miele caldo. Affettando e impiattando il rollé, “decorarlo” tutto attorno con gli spicchi, infine nappare il piatto col fondo di cottura accuratamente setacciato e riscaldato. Il vino in abbinamento può essere un bianco di valida struttura o un rosato



Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

venerdì 6 maggio 2011

Filetto di pesce con zafferano e arance




ARANCE - UN MINIRICETTARIO



Tre ricette (oggi la prima) con le arance, dopo il bell'evento "Pernambucco e bergamotto" che l'Associazione Italiana Etnogastronomi ha tenuto il 3 maggio scorso a Genova, sviluppando il tema agrumi fra storie, ricette, itinerari, profumi...






tempo 45 minuti
difficoltà media

ingredienti
1 cipolla, 1 carota, 2 scalogni non troppo “aggressivi”, la parte bianca di 1 porro, 30 cl di vino bianco secco (ad es. Vermentino), 1 bouquet garni (prezzemolo, timo, basilico, rosmarino, alloro…), 1 busta di zafferano, 2 arance Pernambucco, 1 limone verdello, 4 tranci di pesce (ad es. nasello) già pulito e diliscato, 2 cucchiai d’extravergine DOP riviera ligure, 50 g di burro, sale q.b.
esecuzione
portare a bollore un litro e mezzo d’acqua col vino bianco, e ridurre a brunoise la cipolla, la carota, gli scalogni, e a rondelle il porro. Aggiungerli all’acqua insieme al bouquet garni e ad una presa abbondante di sale. Lasciare sul fuoco circa 20 minuti, e intanto sciogliere lo zafferano in un cucchiaio d’acqua calda. Lavare bene le arance, affettarle, immergerle nel brodo di cottura e lasciare sul fuoco altri 10 minuti, a fiamma più tenue. Immergere quindi i tranci di filetto e finire con altri 10 minuti la cottura. Prelevare il pesce e le arance e custodirli in caldo, intanto filtrare 1 litro di brodo e versarlo in un recipiente di cottura, riducendolo della metà e unendovi lo zafferano già sciolto. Mescolare sempre e, togliendo dal fuoco, unire l’olio e il burro (freddo). Scaldare infine pesce e arance per un minuto o due, e allestirli su di un vassoio da portata, abbinando ovviamente vini bianchi






Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

venerdì 1 aprile 2011

Torta salata ai profumi di campo (un’idea di Liguricettario)


La prescinseua commercializzata da Latte Tigullio,

un valido esempio di cagliata pronta per l'uso

Ricetta per 4-6 persone (ingredienti e quantità)

180 g di farina, 3 uova, 1 bicchiere d’olio extravergine ligure, 200 g di prescinsêua, 100 ml di latte, 100 g di parmigiano grattugiato, erbe aromatiche fresche secondo disponibilità e preferenze (persa, menta, basilico, prezzemolo, erba cipollina, timo…), lievito, sale q.b., un po’ di burro per ungere la teglia di cottura


Preparazione (tempo ore 1 circa)

Trita le erbe grossolanamente mentre preriscaldi il forno a 180°. In una ciotola ampia lavora l’olio col latte e le uova. Sempre rimestando unisci trito d’erbe, farina, parmigiano e prescinsêua. Ora puoi salare e aggiungere il lievito, fino ad amalgamare un composto ben liscio, che verserai in una teglia imburrata e spolverizzata di farina. Forno per 50 minuti, controllando. La torta, di facile esecuzione, è pronta (e molto digeribile), caratterizzata dalla presenza della prescinseua e delle erbe aromatiche liguri; si degusta calda, tiepida o fredda secondo i gusti, ma non tagliarla da calda. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Colli di Luni Vermentino, il contesto ovviamente cambia se la torta accompagna i salumi (da provare con le coppe piacentine!). Se la prescinseua ti "incuriosisce", trovi nelle librerie un volumetto monografico pubblicato dalla genovese Erga


Umberto Curti

Storia e tradizione delle torte salate liguri li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia

Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

giovedì 17 marzo 2011

Lonza al latte con castagne dei tecci di Calizzano e Murialdo


Per gentile concessione dell’azienda agrituristica “Le Giaire” di Calizzano (SV)
http://www.legiaire.it/, tel. 340 3269003

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)1,2 kg di lonza di maiale, 1,5 l di latte intero, sedano, carota e cipolla, 5 spicchi d’aglio, 3-4 foglie d’alloro o salvia, 300 g di castagne essiccate nei tecci di Calizzano e Murialdo, vino bianco q.b. per sfumare durante la cottura

Preparazione
Cuocere le castagne essiccate con una foglia d’alloro, partendo da acqua fredda, per circa un’ora e un quarto, salarle a fine cottura. Salare (e pepare) la lonza, quindi girarla nel soffritto di sedano, carota e cipolla, il tutto tagliato grossolanamente, sfumare con vino bianco. Aggiungere il latte, gli spicchi d’aglio, due foglie d’alloro e salvia. Cuocere per circa un’ora. A parte, frullare il fondo di cottura. Ridurre ed aggiungere le castagne. Affettare la lonza e servirla con la salsa preparata. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Riviera ligure di ponente Rossese.
Io ti consiglio di gustare il piatto direttamente presso chi l’ha ideato: all’agriturismo “Le Giaire” – accoglienza sempre premurosa - dispongono di una bella sala da pranzo ricavata in un’antica mangiatoia, dove si sta al fresco anche d’estate. Queste castagne locali seccano nei tecci (piccole costruzioni di pietra, coperte da scàndole), dove una “graia” posizionata a 2-3 m dal suolo consente a calore e fumo di salire verso le castagne stesse, che vi venivano trasportate in sacchi dalle bestie da soma. Se dopo pranzo, visitando il paese, ti viene voglia di gelato, il bar “Pinotto” all’imbocco di Calizzano, oltre il fiume, non ha gestione loquacissima ma propone un gusto alla castagna senza rivali

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione delle castagne essiccate nei tecci di Calizzano e Murialdo li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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mercoledì 16 marzo 2011

Corzetti di farina di castagne dei tecci di Calizzano e Murialdo, con pesto o salsa di noci

Per gentile concessione dell’azienda agrituristica “Le Giaire” di Calizzano (SV)
http://www.legiaire.it/, tel. 340 3269003

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)700 g di farina di granito, 300 g di farina di castagne essiccate, 6 uova, 70 cl di vino bianco, 20 cl di extravergine ligure, acqua q.b.

PreparazioneImpastare gli ingredienti tutti insieme. Stendere una sfoglia sottile di 2-3 mm. Tagliare con apposito stampo o altra forma tonda di circa 8 cm di diametro. Cuocere in acqua salata fino a galleggiamento. Condire con pesto o salsa di noci. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Riviera ligure di ponente Vermentino
Che nell’entroterra finalese si mangi bene un po’ ovunque non è cosa da dirsi a me, che vi trascorro le ferie estive dal 2003. Una delle glorie locali sono appunto le castagne essiccate nei tecci. La varietà è la gabbiana, e affumica due mesi sopra un fuoco di castagni tenue e continuo. Dopo di che se ne fanno confetture, biscotti (a Calizzano eccellente il gelato alla castagna del Bar Pinotto, accoglienza spartana ma ottime produzioni, proprio all’ingresso del paese superando il ponticello sulla Bormida)...

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione dei corzetti li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

mercoledì 9 marzo 2011

Minutal dolce di cedri (dal “Manuale di gastronomia” di Apicio)





Domenica sarò a Finalborgo, per narrare al Salone dell’Agroalimentare Ligure le glorie dell’arancia “pernambucco”. La storia degli agrumi è molto affascinante, ma i Romani – nostri progenitori anche in senso culinario… - conoscevano in pratica solamente i cedri. Dei cedri, originari della Cina o dell’India o dell’Iran, e conosciuti dagli Ebrei durante la cattività babilonese, era infatti già goloso Apicio (I secolo d.C.), dal ricettario di costui – ricettario cui ho dedicato nel 2010 un libro, “Tempo Mediterraneo” - rimane infatti un celebre minutal, che qui rievochiamo come “sfida” per gli chef, i gourmet e le appassionate (mi riferisco anche ad una tal Anna del blog Golosa Passione…). La golosità d’Apicio è anche nostra, tuttora i cedri si usano intensamente come garbati aromatizzanti, nelle canditure, nelle bibite rinfrescanti... A Roma le foglie fresche del cedro aromatizzavano il vino… Diamante/Santa Maria del Cedro, nel cosentino, appare oggi forse l’area più vocata per questo agrume povero di polpa ma la cui scorza possiede oli essenziali profumatissimi, apprezzati anche – anzi, perfino - nella cucina anglosassone.
Il termine antico minutal rinvia di solito ad una zuppa di pesce, minestra di mare, fricassea ittica, ammorsellato (sminuzzato, trito, spezzatino), anche con verdure e pasta sbriciolata, tipo i battolli e lo scuccusùn della Liguria. Rispetto a Isidoro di Siviglia (Or. 20,2,29), il minutal apiciano – ricetta facile per alcuni, ma difficilissima per altri - perde tuttavia i pesci e per verdura conserva solo i porri. E’ nei fatti una “paella” – una padellata - , costosa ed elitaria. Quanto al monumentale minutal di cedri, sorta di maiale in agrodolce, ecco la ricetta originale (senza le quantità degli ingredienti né consigli approfonditi per la preparazione…); il cedro è stato palesemente già confettato, viene irrorato d’aceto e non di miele in quanto già il mosto cotto arreca un sapore dolce; bizzarra la testa intera di porro, solitamente Apicio lo affetta. In bocca al lupo a quanti vorranno cimentarsi (fatemi sapere…):
IV, III, 5 - “versa nella pentola olio, garum, brodo, una testa di porro, taglia finemente il coriandolo, la spalla cotta di maialino e le polpettine. Mentre cuoce, pesta pepe, cumino, coriandolo fresco o in semi, menta fresca, radice di laser, aggiungi l’aceto, il mosto cotto, il sugo di cottura e lavora con l’aceto. Fa’ bollire. Quando sarà cotto, versa in pentola i cedri nettati dentro e fuori, tagliati a pezzetti e lessati. Lega con della pasta sbriciolata, spruzza il pepe e servi”

Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

martedì 8 marzo 2011

Limoncino

L'omaggio di Poste Italiane al poeta "nobél" Eugenio Montale.
Ligure come pochi, scrisse di "viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne,
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni".
La poesia uscì nella raccolta "Ossi di seppia" (1925)


Ricetta (ingredienti e quantità)1 l di alcol 90°, 10 limoni (di più o di meno secondo dimensioni e sugosità), 400 g di zucchero, mezzo litro d’acqua

Preparazione (tempo 70-75 giorni)Lavare i limoni in acqua non fredda e spazzolarli con cura. Spelarli, quindi ridurre le scorze in sottili listarelle, infine porle a macerare 30 giorni in luogo buio dentro un recipiente di vetro a chiusura ermeticamente sigillata, con 750 ml di alcol. Trascorso il periodo, far bollire l’acqua e aggiungere lo zucchero, mescolando fino a scioglierlo. Questo sciroppo va raffreddato e successivamente versato, coi residui 250 ml di alcol, nel recipiente delle scorze in macerazione. Richiudere di nuovo, ben sigillando, e sempre al buio lasciar riposare per altri 40 giorni. Trascorsi 40 giorni, filtrare, imbottigliare (più elegante la demi da 375 cl), e poi gustare ben fresco. Questo liquore digestivo, celeberrimo nel Sud Italia, è prodotto anche in Liguria in modica quantità, e s’accompagna bene a pasticceria e macedonie. Poiché i limoni sono da secoli un patrimonio pienamente “mediterraneo”, ad es. è dell’Africa settentrionale (Marocco…) la tradizione dei lamoun makbouss, limoni in salamoia, pressati almeno 40 giorni in un barattolo con sale e varie spezie.

Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

lunedì 7 marzo 2011

Torta Engadina

Giuseppe Verdi

Giuseppe Verdi (1813-1901), mentre stava lavorando al “Falstaff”, soggiornò lungamente a Genova, presso il Palazzo del Principe. Innamoratosi della pasticceria Klainguti in piazza Soziglia n. 98, che al Falstaff intitolò una brioche, scrisse “I vostri Falstaff sono migliori del mio”. Questa noticina autografata campeggia ancora nel negozio, dietro il banco dei dolci. L’opera lirica, su libretto di Boito, presentata alla Scala destò qualche riserva per la sua modernità, ma affermandosi poi nelle predilezioni di quasi tutti i melomani e i verdiani. Quanto alla pasticceria, tuttora in attività, essa fu fondata nel 1826 da 4 fratelli emigranti da Pontresina, paesino svizzero presso Sankt Moritz. E’ dunque da quasi 2 secoli che per thé, aperitivi, pasticcini e torte si sosta ritualmente da Klainguti, ammirando gli arredi, gli stucchi, gli specchi, l’atmosfera complessivamente liberty, quasi che il tempo si fosse fermato al secolo risorgimentale… Fra le specialità più gettonate la torta klaingutina con gli amaretti, la crema zena (uno speciale zabaione), la torta engadina con le noci, erede di quella “fuatscha grassa” che i contadini dell’Engadina preparavano – ipercalorica - per contrastare i rigori dell’inverno

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)Per la pastafrolla 300 g di farina, 150 g di zucchero, 180 g di burro, 1 uovo, 1 presina di sale. Per la farcia 220 g di zucchero, 250 ml di panna fresca, 100 g di noci, 100 g di nocciole e 100 g di mandorle spellate, 2 cucchiaiate di miele

Preparazione (tempo ore 1,5 circa)Preparata la pastafrolla (che riposerà in frigo una trentina di minuti), lavorare un caramello con la panna lievemente intiepidita, amalgamando bene. Eventuali grumi, su fuoco basso, si scioglieranno. Via dal fuoco, unire il miele e tutta la frutta secca preventivamente tritata. Ora spalmare due terzi dell’impasto sulla frolla – tenendo un po’ di frolla da parte - e foderare una tortiera confezionando un bordino alto circa 3 cm. Bucherellare, quindi spalmare il residuo dell’impasto e coprirlo con un disco sottile di frolla, sigillando i bordini tutt’attorno con cura. Bucherellare di nuovo, spennellare con l’uovo sbattuto, poi forno a 180° per un’ora scarsa. Questa torta si degusta fredda. L’abbinamento enologico suggerito è sempre un passito, ad es. un DOC Cinque Terre Sciacchetrà

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario

mercoledì 23 febbraio 2011

LA CUCINIERA GENOVESE DI GIOBATTA RATTO




Giobatta Ratto è l’apprezzato autore de “La cuciniera genovese. La vera maniera di cucinare alla genovese” (1863), edita dai celebri fratelli Pagano forse come strenna di Natale, un forziere di carta contenente 481 ricette. Il pubblico lo pagava una lira e sessanta, oppure quattro per la versione di lusso. Prima non v’era stato altro, se non i meticolosi versi in dialetto di Martin Piaggio (o scio Reginn-a) dedicati ai principali piatti della patria, versi che però non menzionavano né il cappon magro né – udite udite – il pesto. Nella “Cuciniera” il nome del compilatore, Giobatta Ratto, comparve in realtà solo alla terza edizione, e quello del figlio Giovanni alla successiva (Giovanni si specializzò poi in stampe ed editoria musicale). Di costoro non si sa granché, ma verosimilmente furono persone formate e benestanti, il saggio gastronomico rimastoci conferma il loro meritorio tentativo di porre finalmente a sistema una materia “local” nient’affatto semplice. Finalmente in quanto altrove il Romanticismo di fine ‘700, celebrando le nazioni, aveva già sortito frutti che oggi, meno acerbamente, chiameremmo etno-gastronomici. Tuttora, come noto, la cucina italiana si configura in realtà come un insieme di straordinari background regionali, di campanili fieri… E finalmente anche in quanto i cuochi si limitavano a tramandare oralmente e ruvidamente quanto avevano imparato a propria volta dall’apprendistato esperienziale. Poiché, due anni dopo il Ratto, uscì in Toscana (poi a Milano per le edizioni Bietti), a firma di Emanuele Rossi “La vera cuciniera genovese facile ed economica ossia maniera di preparare e cuocere ogni genere di vivande”, la querelle fra le due pubblicazioni s’accese immediata e intensa. Chi parteggiava per il Ratto dava del contraffattore al Rossi. In entrambi i titoli, peraltro, ricorre l’aggettivo “vera”, circolavano dunque cuciniere inaffidabili? Nel 1910, comunque, dei due ricettari compose una sintesi Emerico Romano Calvetti, “La cucina popolare genovese”, una sforbiciata meritoria visto l’eccesso di proposte - soprattutto nella raccolta del Rossi, carica di 654 ricette - , che oramai, inseguendo l’internazionalità, rischiavano di “tradire” la natura mediterranea e parsimoniosa della cucina di Genova (porto emporio) e degli altri territori ad essa limitrofi. Una cucina che via via mixò ingredienti base e apporti “concettuali” di diversa provenienza, ma conservò un’identità nitida e salubre, l’olio, le farinate, la mes-ciùa, il pan cotto, la caponadda, il pesce “povero”, il quinto quarto, le formaggette ovine, il castagnaccio, i biscotti secchi. Qualche volta il coniglio e l’agnello più che la carne rossa. Dalle Crociate in poi, l’import di frutta secca, spezie, zucchero ecc. consentì una maggior fantasia, sempre assai sagace. Ma, nell’essenza, niente a che vedere, malgrado tutto, con gli estri dei principali chef di corte, che a gara strabiliavano i convitati. Se Emanuele Rossi si mostra più un intellettuale genericamente prestato ai fornelli, Giobatta Ratto, da esperto di settore, completa viceversa il proprio ricettario con 6 capitoletti dedicati ai requisiti della buona cuoca, ai consigli per approvvigionarsi, alla manipolazione e cottura dei cibi, al modo di preparare e conservare carni ecc., alla stagionalità dei pesci acquistabili sul mercato di Genova nonché al conseguente modo di cucinarli. Inscrive cioè la propria “Cuciniera” in quel filone di ricettari che – dall’età apiciana e poi medievale/rinascimentale – non solo istruiscono circa l’esecuzione dei piatti, ma anche circa la selezione, la lavorazione e la “manutenzione” dei diversi alimenti, riservando adesso grande attenzione al vano cucina e agli utensili (i progressi dell’agricoltura facevano giungere in città – metropoli “patrizia” e aperta - idonee quantità di ottimi prodotti, ormai anche le patate e i pomodori). Ma Ratto realizza un abecedario tanto più importante quanto più, a fine ‘800, chef, brigate e quant’altri non disponevano ancora di tutte quelle attrezzature oggi indispensabili all’igiene e sicurezza e… date per scontate. Chiudeva il compendio un glossarietto dei termini dialettali a cura dell’autorevole Giovanni Casaccia, cui dobbiamo un monumento sotto forma di dizionario italiano-genovese. Chi voglia approfondire la visione del mondo di Ratto prenda in primis l’emblematica ricetta dei ravioli, che grazie ai vegetali nella farcia si differenzia immensamente da quella piemontese e da tanti altri tortelli, e sviluppa profumi ineguagliati. Profumi della Liguria, e basta la parola...


Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

mercoledì 16 febbraio 2011

Focaccia genovese



Ricetta casalinga per una teglia (lama) da 6-8 persone1 kg di farina 00 rinforzata (20% farina speciale), 50 grammi di olio extravergine (mai lo strutto!), altri 100 grammi di evo per irrorare l’impasto una volta disteso nella teglia, 20 grammi d’estratto di malto (che darà colore), 20 grammi di sale fino, 35 grammi di lievito di birra, mezzo litro abbondante d’acqua.

PreparazioneLa ricetta comporta un’assai lunga preparazione (occhio alle temperature e all’umidità!). S’impastano armoniosamente i vari ingredienti escluso il sale (una macchina a forcella richiederebbe 30 minuti, a spirale 15). L’impasto deve immediatamente lievitare per un’ora, possibilmente su ripiano di legno e in luogo umido e chiuso, e poi – pezzato per la teglia – per altri 20 minuti. Divenuto elastico, è delicatamente stirato, senza pressarlo, dentro la teglia, prima di ricevere i conclusivi acqua (una spruzzatina), olio (100 grammi), sale q.b. e colpi di dita. I colpi di dita creano alveoli superficiali, ombelichi piacevoli a vedersi, dove si deposita l’olio, attenzione a non bucare la pasta... L’impasto riposerà infine altre 2-3 ore, ove possibile in cella a 40° e umidità 85%. Cottura ben viva, 20 minuti a 220°. Il miglior partner della focaccia genovese è un Vermentino (vino presente in molte aree mediterranee e addirittura in 4 DOC liguri), proposto a 10-11° in calici a stelo alto.

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione della focaccia li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia

Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

martedì 15 febbraio 2011

Frisceu di baccalà (frittelle)


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)Mezzo kg di baccalà già ammollato per 48 ore (ogni tanto cambiando l’acqua), 150 g di farina '00', olio extravergine, sale q.b. (con moderazione)

Preparazione (tempo circa 45 minuti)Il pesce (è merluzzo bianco gadus morhua sotto sale*) va desquamato e diliscato, poi spezzettato a mo’ di scaloppine regolari di circa 5 cm di lato. Si realizza intanto una pastella – morbida, che lo avvolga - con farina, acqua intiepidita (con un po’ di vino bianco secco), una cucchiaiata d’olio e una presina di sale, e dopo averla fatta riposare una trentina di minuti vi si immergono i pezzi di pesce. L’impasto, utilizzando sempre un cucchiaio, si versa in abbondante olio bollente dentro una padella, dopo alcuni minuti è pronto. Si toglie dall’olio, si asciuga e si serve in tavola, se occorre con un’ultima spolverata di sale. I frisceu non vanno confusi coi cuculli, che nascono a base di farina di ceci. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Riviera ligure di ponente Vermentino, o un bianco spumantizzato che con un po' di carbonazione “sgrassi” la bocca. Nota bene, la pastella viene preparata anche in altri modi molteplici, con uovo, lieviti, acqua frizzante…
* lo stoccafisso è il medesimo pesce ma essiccato

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione dei frisceu di baccalà li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/





lunedì 14 febbraio 2011

Pan cotto


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)4 michette di pane avanzato (circa 3-400 g), 3 cucchiai di parmigiano grattugiato, 3-4 spicchi d’aglio, origano, olio extravergine, sale q.b.

Preparazione (tempo 20 minuti circa)Salare e bollire a fuoco medio dell’acqua, circa 1 litro, aggiungendo l’olio e gli spicchi d’aglio integri (senza camicia). Quando l’aglio è cotto unire il pane raffermo (pane indurito, non integrale) spezzettato a tocchi, l’origano e il parmigiano. Provocare ancora un bollore vivo e poi servire subito, caldo, con un ultimo filo d’olio evo a crudo. Ottimo – e nutriente - anche preparando con brodo di carne e aggiungendo uova sbattute. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Ormeasco sciac-trà (rosato). Tipico di Vezzano Ligure (SP), ma anche di Genova, recupero creativo del pane vecchio, la povertà acuiva l’ingegno. Ove presenti, basilico e pomodoro lo avvicinano al pan cotto del Sud Italia, che gradisce anche zafferano e peperoncino. Ricette tutte antiche, tanto che Costanzo Felici scriveva nel ‘500 a proposito del pane: “Ma poi le variate minestre che da esso nascono! Prima vi è il pan cotto o pan bullito, vi è il pan grattato… minestre compastate con brodi come con acqua semplice poi condite con olio o con noce o con amandole o con latte o con formaio o con pevere o altre spetie”

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del pan cotto li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

venerdì 11 febbraio 2011

Condiggiòn (insalata mista)

le belle gallette del marinaio
del panificio Maccarini a San Rocco di Camogli


Ricetta per 4-6 persone (ingredienti e quantità)
Pomodori non troppo maturi (cuori di bue), cetrioli, peperoni piccoli (privati di pellicine e semi), sedano (talvolta) e finocchi (talvolta), olive nere liguri in salamoia, cipolle fresche, acciughe sotto sale (o 50 g di mosciamme), foglie di basilico, insalata a piacere, gallette del marinaio, olio extravergine ligure “di frantoio”, aceto, aglio di Vessalico, sale

Preparazione (tempo 30 minuti circa)
Si strofinano le gallette con l’aglio, si ammorbidiscono in poca acqua e aceto, poi si dispongono sul piatto da portata, o in un grilletto di terracotta. Si coprono con le verdure tagliate/affettate, unendo acciughe e/o mosciamme, e condendo con profusione di olio, sale e un po’ di aceto (se piace, sebbene poco filologico, anche quello balsamico). Si decora infine il piatto con le profumate foglioline di basilico (talora di menta) e le olive nere, ad es. le taggiasche. Come si nota, è un’antica ricetta a crudo, soprattutto estiva, semplice semplice, basilico e cetriolo la differenziano dalla nizzarda. L’abbinamento enologico è reso difficoltoso dalla presenza di pomodori, acciughe, aglio, aceto… Si tenta – arditamente - con un Vermentino...di carattere

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del condiggiòn li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

giovedì 10 febbraio 2011

Fricassea di scorzonera


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)4 mazzi di scorzonera (“barba di prete”), 1 ciuffo di prezzemolo, 3 uova, mezza cipolla, 1 limone, 1 bicchiere d’extravergine, brodo (di carne o di dado), sale q.b.

Preparazione (tempo… variabile)Contorno celebre, è una “fracassata” di radici, chiamate scorzonera dal catalano “escurso” (vipera), in quanto ritenute antidoto al veleno di quel rettile. Nettare (raschiare), sciacquare e bollire la scorzonera in abbondante acqua salata (e acidulata), tenendola al dente, quindi sgocciolarla e tagliarla in pezzi o a fettine. Rosolare nell’olio la cipolla e il prezzemolo tritati, gettarvi la scorzonera regolando di sale e diluendo via via con un poco di brodo (no burro) per insaporirla. Intanto in una ciotola profonda sbattere le uova col succo di 1 limone, togliere la scorzonera dal fuoco e irrorarla, rimescolando affinché le uova si rapprendano. Se occorre, rimettere un momento sul fuoco. Impiattare caldissime, anche con una spolverata di prezzemolo tritato. L’abbinamento enologico suggerito, vista la nota dolce del piatto, è ad es. un DOC Colli di Luni Bianco. Lessata, la scorzonera entra talvolta anche nel cappon magro

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione della fricassea di scorzonera li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

mercoledì 9 febbraio 2011

Panigacci (panigazzi)

panigacci: delizia di confine fra 3 regioni

Ricetta per 6-8 persone (ingredienti e quantità)1 kg scarso di farina bianca “0”, 1,8 l d’acqua, sale

Preparazione (tempo 15 minuti circa) Non esiste una ricetta unica e univoca, ma va sottolineato che questo impasto è più denso rispetto ai testaroli e che la cottura prevede d'impilare i panigacci in piccoli testi a bordo un po' rialzato che vengono fatti arroventare. 
Bagnare la farina con due bicchieri d’acqua, regolare di sale e lavorare l’impasto lasciandolo piuttosto fluido (come per le frittelle). Scaldare i testi * sopra un fuoco di legna, in genere va ottimamente il legno ligure, sino a che siano incandescenti. Porre – senza scottarsi! - il primo testo sul pavimento, riempirlo con un mestolo di pastella, coprirlo col secondo testo e così via, sino a comporre una colonna di 6-7 sino a 10-12 testi pieni di pastella. Lasciarli così per circa 5 minuti, in modo che la pastella cuocia su ambo i lati, e quindi togliere i panigacci ormai cotti (più morbidi o più croccanti secondo il gusto). Ancora caldi si dispongono in ceste di vimini e si accompagnano a salumi e formaggi locali, a mo’ di piadine, oppure si condiscono con olio e parmigiano grattugiato, o con agliata. Sono molto digeribili in quanto non lievitati. L’abbinamento enologico suggerito è strettamente in funzione del “partner”, esistono infatti formaggi e salumi che chiedono vini di diverso impegno. La parola panigacci deriva da panìco, un cereale affine al miglio, antica graminacea asiatica che oggi si usa oramai solo per il becchime, sostituita da mais e risi. Di testi (il diametro per i panigacci è circa 15 cm) esiste ancora un ottimo fabbricante a Iscioli, frazione di Ne (GE)
* teglie con orli bassi o comunque dischi di materiale vario, ghisa, ferro…, adatti a fiamme e a braci, “antiaderenti”

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione dei panigacci li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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martedì 8 febbraio 2011

Reginette con le uova

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)200 g di reginette, 3 uova, 1,5 l di brodo di carne (o in emergenza di dado), 50 g di parmigiano o grana padano grattugiato, 2 cucchiai di persa (maggiorana) fresca, 1 spicchio d’aglio, noce moscata e sale q.b.

Preparazione (tempo 30 minuti circa)Le reginette sono fettuccine talora crespate ai bordi, molto amate al Sud, larghe circa 1,5 cm e che richiedono una decina di minuti di cottura. Si prepara il brodo immergendovi anche lo spicchio d’aglio spellato e la persa. Quando bolle, si elimina l’aglio e vi si gettano le reginette. Intanto in una ciotola si sbattono le uova col formaggio e un poco di noce moscata (se serve, anche un po’ d’olio extravergine ligure), diluendo con un mestolino di brodo. Quando la pasta è cotta, togliere dal fuoco e aggiungere lentamente il composto rimestando bene, finché si rapprenda. La minestra è da servire calda, piatto delicato, simile alla stracciatella dell’Emilia. Si spolvera di parmigiano. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Golfo del Tigullio Bianco

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione delle reginette con le uova li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

lunedì 7 febbraio 2011

Riso arrosto

riso: malgrado Genova ne dominasse il commercio,
in Liguria riguarda solo 3-4 ricette...


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)400 g di riso da risotti (superfine o vialone nano), 2 cucchiai di “tocco” (sugo di carne), 200 g di salsiccia (o prosciutto crudo), 100 g di laccetti*, 20 g di funghi secchi rinvenuti in acqua tiepida, 150 g di piselli, 150 g di carciofi (in stagione), 2 bicchierini d’extravergine, 100 g di pan grattato, 100 g di parmigiano o grana padano grattugiato (3-4 cucchiai circa), 1 cipolla, vino bianco secco, sale e prezzemolo q.b.
* il morbo di mucca pazza (encefalopatia spongiforme bovina) aveva ovviamente vietato frattaglie e interiora di quinto quarto. Tenersi sempre informati protegge la salute!

Preparazione (tempo 35 minuti circa)Ricetta assai diffusa nell’entroterra di levante. Tritare la cipolla col prezzemolo e rosolarli in olio (+ eventuale burro), unire la salsiccia sminuzzata e il riso. Continuare a rosolare sfumando col vino. Tritare i funghi e aggiungerli, poi anche i laccetti sminuzzati, i carciofi tagliati a pezzi e i piselli, regolando di sale. Dopo una decina di minuti levare dalla fiamma, spolverare di formaggio e aggiungere il sugo di carne (senza lesinare). Infine versare e livellare il composto (la consistenza sarà simile al risotto, cotto al dente) in un tegame, unto o imburrato, compattarlo con una forchetta, infine cospargere di pan grattato e infornare (gratinare) a 180° per un’altra decina di minuti. Servire caldo. Fa da piatto unico, proteico. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. - per restare sul terroir - un DOC Golfo del Tigullio rosso

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del riso arrosto li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

giovedì 3 febbraio 2011

Muscoli ripieni

foto tratta dalla piattaforma "LiguriaFood"

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)1,5 kg di muscoli locali (circa 2 dozzine), mollica ammollata nel latte, 150 g di parmigiano o grana padano grattugiato, un mazzetto di persa (maggiorana) e uno di prezzemolo, 4 pomodori, 1 uovo per ogni commensale, 50 g di prosciutto cotto e/o mortadella, sale q.b.

Preparazione (tempo 30-40 minuti circa)Pulire i muscoli e farli aprire sul fuoco vivo in padella (gettare sempre quelli che non si aprono). Tenere da parte i migliori – diffidare dei giganteschi… – e, aiutandosi con un coltellino, togliere dalle valve alcuni dei rimanenti. Tritare questi ultimi con gli odori (persa, prezzemolo…). In un’ampia ciotola lavorarli accuratamente con le uova, il formaggio * e la mollica strizzata (va egregiamente il pane raffermo). Successivamente tritare i pomodori e realizzare un sugo in padella, che va un po’ tirato e regolato di sale. Cuocere per 5 minuti. Farcire le valve con una cucchiaiata del ripieno – ben sodo - e cucirle con un filo da cucina in modo che non entri aria, quindi insaporirle nel sugo di pomodoro per una decina di minuti, a fuoco medio. Oppure 20 minuti di forno a 180°. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Golfo del Tigullio rosato
* forse che i francesi non aggiungono fromage alla loro soupe de poissons?

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione dei muscoli ripieni li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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mercoledì 2 febbraio 2011

Riso e preboggion


...e naufragar m'è dolce nel preboggion

Ricetta per 4-6 persone (ingredienti e quantità)300 g di riso (si calcolino 2 pugni a persona), 3 bei mazzi di preboggion (erbetti) contenenti preferibilmente - secondo disponibilità del mercato - bietole, borragine, pimpinella, dente di leone…, 4 cucchiai di pesto di basilico, 3 cucchiai di extravergine ligure, parmigiano grattugiato, sale q.b.

Preparazione (tempo 1 ora circa)Si lavano scrupolosamente e si tagliano a fettucce le verdure, che poi si lessano in abbondante acqua salata. Dopo una quarantina di minuti s’aggiunge il riso, e si cuoce per altri 15-18 minuti rimestando bene. Il piatto, presente già nella Cuciniera ottocentesca del Ratto, si condisce con un pesto diluito e infine con una spolverata di parmigiano. Si consuma sia caldo sia freddo. La consistenza, un po’ risotto un po’ minestra, dovrà risultare non troppo brodosa né troppo soda. Ottimo partner è un DOC Colli di Luni Vermentino, servito a 11° in calici a stelo alto

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del riso col preboggion li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

martedì 1 febbraio 2011

Riso in cagnone



Ricetta per 6 persone (ingredienti e quantità)500 g di riso (superfine o vialone), 150 g di salsiccia sminuzzata, 1 mestolo di sugo di carne, 1 mestolino di brodo di carne, 8 cucchiaiate di parmigiano o grana padano grattugiato (circa 150 g), sale q.b.

Preparazione (tempo 30 minuti circa)Lessare il riso in abbondante acqua salata. Scolarlo a metà della cottura e porlo in una casseruola dove sta “borbottando” il sugo di carne, già filtrato nel setaccio chinois e diluito col mestolino di brodo di carne. Unire ora a fuoco vivace la salsiccia sminuzzata, mescolando bene, poi metà del formaggio, facendo attenzione che il “risotto” non s’attacchi. Via via provvedere, ove occorra, con ancora un po’ di brodo. Il piatto si degusta caldo, spolverizzando con il restante formaggio. Prende il nome da cagnun, che in lombardo è una larva d’insetto (mosca carnaria), bianca, il cui aspetto ricorda il chicco di riso gonfiato dalla cottura. La versione ligure è una sorta – semplificata - di riso al fondo bruno – si parva licet componere magnis… - , quella padana contiene talora anche burro e salvia. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Ormeasco (vitigno dolcetto)

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del riso in cagnone li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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lunedì 31 gennaio 2011

Fegato all’aggiadda (in agliata)

sua maestà l'aglio, nutraceutico che regna sulle salse da mortaio...


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)500 g di fegato di vitello affettato sottile, 2 spicchi d’aglio di Vessalico (IM), mollica di un panino inzuppata nell’aceto, olio extravergine, 1 tazza d’aceto di qualità, sale q.b.

Preparazione (tempo pochi minuti)Rosolare le fettine di fegato in olio caldo, a fiamma viva. Intanto nel mortaio battere l’aglio insieme alla mollica, già ammollata e strizzata, e via via all’aceto, incorporando bene col pestello gli ingredienti per ottenere un composto cremoso (l'aggiadda è la madre di tutte le salse liguri al mortaio). Quando l’aspetto del fegato conferma l’avvenuta cottura, unire la salsa “aggiadda” e rimescolare, così che dia sapore al piatto. Servire caldissimo. L’agliata è una salsa antica, molto diffusa, un tempo si diluiva con agresto* (ma personalmente sconsiglio la cagliata)… L’abbinamento enologico suggerito – non senza difficoltà - è ad es. un DOC Riviera ligure di ponente Rossese
* dalle uve acerbe l'agresto, che nel Medioevo sopperiva alla scarsità d'aceti e limoni


Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del fegato all’aggiadda li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

venerdì 28 gennaio 2011

Favetta


fave, in Liguria partner per antonomasia
del salame di Sant'Olcese
e del pecorino sardo fresco...

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)250-300 g di farina di fave secche, 1 cipolla tritata, 1 carota tritata, alcune cipolline fresche, sale q.b., olio extravergine, acqua

Preparazione (tempo circa 1 ora)Ricetta antica. Cuocere la farina in mezzo litro d’acqua, sale e qualche goccia d’olio, rimestando. Dopo circa 50 minuti versare l’impasto, addensatosi, in una ciotola, affinché si freddi. Rosolare in padella, con l’olio, la cipolla ben tritata, la carota e la favetta tagliata a tocchi. Impiattare con le cipolline e degustare calda, anche con un filo d’olio a crudo. Di fatto la favetta è una polentina simile al “maccu” siciliano, preparato con fave bianche (quella parola significherebbe ammaccato). E’ ottima anche su crostini, e può a propria volta far da “letto” a seppie e totanetti. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Golfo del Tigullio Bianchetta

Umberto Curti
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Storia e tradizione della favetta li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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giovedì 27 gennaio 2011

Piccatiggio (piccatiglio)

burro, una rarità nelle ricette liguri



Ricetta per 4-6 persone (ingredienti e quantità)1 kg di polpa di vitello tritata, 40 g di burro, 4 cucchiai di extravergine ligure, 2 cucchiai di prezzemolo fresco tritato, 1 carota tritata, 1 cipolla bianca tritata, 10 olive nere salate e denocciolate (in mancanza, verdi), brodo, 3 uova, sale (e pepe) q.b.

Preparazione (tempo pochi minuti)Piccatiggio deriva dallo spagnolo, e latinoamericano, picar = sminuzzare. In un’ampia padella si pongono a soffriggere in olio e burro il trito di prezzemolo, la carota, la cipolla e le olive nere sminuzzate, mescolando per alcuni minuti. S’aggiunge la carne, versando via via un po’ di brodo per tenerla umida, sempre mescolando. Regolata di sale (e pepe), la carne cuoce una ventina di minuti (la cottura breve tutela la morbidezza). Nel frattempo si sbattono le 3 uova e s’uniscono alla carne per un paio di minuti, fiamma viva. Il piccatiggio, piatto unico, si serve caldo, talvolta decorato da spicchi e zest di limone. Si prepara anche di pollo, o di cappone. L’abbinamento enologico è una querelle, perché alcuni contrastano la nota dolce del burro (raro nelle cuciniere liguri) e delle uova con vini sapidi. Io opto per un DOC riviera ligure di ponente Rossese, beva non troppo impegnativa

Umberto Curti
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Storia e tradizione del piccatiggio li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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mercoledì 26 gennaio 2011

Paté di polpo


polpo, è meraviglioso anche lesso, con patate...

Ricetta (ingredienti e quantità)300 g di polpo cotto, aceto bianco di qualità, 10 g di prezzemolo, 2 spicchi d’aglio di Vessalico, una cucchiaiata di capperi, un bicchierino (1 dl circa) d’olio extravergine ligure, crostoni o gallette

Preparazione (tempo pochi minuti)Il polpo, catturato, veniva dagli zavorristi bollito, spellato e battuto, poi nel mortaio veniva lavorato con capperi, aglio, prezzemolo e olio, fino ad ottenere una crema “energetica”, spalmabile sulle gallette. Oggi il paté si prepara spellando il polpo (già cotto*) e lasciandolo una decina di minuti in acqua addizionata d’aceto bianco. Asciugato, si taglia poi a tocchetti e si passa nel mixer (v’è chi aggiunge mollica rafferma ammorbidita nell’aceto). Intanto in una padella si rosolano l’aglio tritato, il prezzemolo e i capperi interi. Si unisce ben presto la crema di polpo, amalgamando con cura per circa 5 minuti. Si spalma infine sui crostoni o le gallette. Va conservata sott’olio. Nel caso viceversa della soppressata (o cima, o salame) ritratta nella foto, al polpo bollito, posto in uno stampo da plumcake, verrà sovrapposto un altro stampo e un peso di alcuni chili. Dopo 10 ore di frigo sarà tagliato a fette e condito, splendidamente con le olive al tremello (timo). L’abbinamento enologico suggerito è sempre ad es. un DOC Colli di Luni Vermentino
* tuffarlo 3 volte nell’acqua affinché non s’abbassi di colpo il bollore, e poi bollirlo per 30 minuti

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del paté di polpo li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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martedì 25 gennaio 2011

Frittata di bianchetti (o di rossetti)

rossetti: provateli anche lessi
con un filo d'extravergine...

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)350-400 g di rossetti * , 50 g di parmigiano grattugiato (3 cucchiai circa), 4 uova, mollica di pane raffermo ammollata nel latte, 1 ciuffo di prezzemolo o di persa (maggiorana) freschi, olio extravergine, sale q.b., 1 spicchio d’aglio se piace
* i rossetti sono esemplari già adulti. Viceversa i bianchetti, di cui è stata vietata la pesca, sono novellame (di sardine, di acciughe...)

Preparazione (tempo 15 minuti, 35 al forno)I bianchetti erano un culto anche a Napoli, in Sicilia… Oggi si ripiega sui rossetti. Questa è una delle tante ricette in cui danno il meglio di sé, ma v’è chi li adora anche crudi * . In una comoda ciotola sbattere le uova col prezzemolo tritato, il formaggio e la mollica strizzata. Regolando di sale unire i rossetti puliti, mescolare amalgamando bene e procedere come per una normale frittata, pochissimo olio caldo e 5 minuti per lato. Servire porzionata a triangolini. Ottima e leggera anche la procedura al forno, 30 minuti a 180°, in una pirofila già unta e spolverata di pan grattato. La ricetta funge da antipasto o da secondo. Il grande chef Nino Bergese (una vita alla “Santa” di vico Indoratori a Genova…), per differenziarla e nobilitarla, coi bianchetti realizzava un soufflé. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Golfo del Tigullio Vermentino
* il pesce da consumarsi crudo va sempre sottoposto ad abbattimento. A mio parere meglio non fidarsi del surgelato, che spesso è pesce ghiaccio (cinese) di pessima qualità

Umberto Curti
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Storia e tradizione della frittata di bianchetti li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia.
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lunedì 24 gennaio 2011

Imbrogliata di carciofi


Ricetta per 4-6 persone (ingredienti e quantità)12-13 carciofi giovani, succo di limone, 1 dl di extravergine, 20 g di burro, 6 uova, mezzo bicchiere di latte, g 100-120 di parmigiano grattugiato (3 cucchiaiate circa), sale q.b.

Preparazione (tempo 15 minuti circa)I carciofi, mondati delle foglie più esterne, delle punte e della peluria interna, si affettano a piccoli spicchi e si pongono nell’acqua, addizionata da succo di limone. Si rosolano poi in padella antiaderente nell’olio, e appena prendono a dorare e ad appassire si tolgono dal fuoco e s’aggiunge il burro. A parte, in un’ampia ciotola, si sbattono con la frusta le uova, il latte e il parmigiano, con un po’ di sale, finché il composto monta. Si ri-saltano ora in padella i carciofi col composto, muovendo e amalgamando bene, velocemente. Il piatto avrà una consistenza rappresa, morbida, non troppo filante, e si consumerà ben caldo. Almeno ad Albenga (SV) dovrebbe essere obbligatorio inserirlo a menu in tutti i ristoranti, insieme all'imbrogliata di zucchine (e alla frittata d'asparagi)… L’imbrogliata si cucina anche – meno elegantemente - con piselli, patate…
Coi piatti di carciofi l’abbinamento enologico è sempre difficoltoso, qui va comunque privilegiato un bianco, da servire a 11° in calici a stelo alto

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione dei carciofi li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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venerdì 21 gennaio 2011

Orata coi carciofi

si scrive carciofo, ma in Liguria
si legge soprattutto Albenga e Perinaldo...

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)1 orata (o altro pesce a polpa bianca) da 1 kg, 1 bicchierino d’extravergine e 1 bicchierino di vino bianco secco, 5 carciofi d’Albenga puliti, rosmarino o altra erba aromatica (se prezzemolo tritarlo), 1 spicchio d’aglio di Vessalico, brodo vegetale, sale q.b.

Preparazione (tempo un’ora circa)Pulire e porre i carciofi, tagliati a spicchietti e mondati dei gambi, in acqua acidulata col limone. In una teglia/pirofila preventivamente unta disporre il pesce già pulito e sviscerato e aromatizzarlo sia dentro sia fuori con aglio (sbucciato, lavato e schiacciato), rosmarino (lavato e asciugato), sale. Oliare e quindi rosolare una decina di minuti, unendo vino e due-tre mestolini di brodo. Ora aggiungere i carciofi tutt’attorno * , e cuocere ancora una mezz’ora ad almeno 220° (calcolare mediamente un’ora totale di cottura per ogni chilo di pesce). Impiattare (i puristi direbbero dressare) inumidendo tutto col brodo di cottura. L’abbinamento enologico suggerito è, malgrado l’ostacolo dei carciofi, un DOC riviera ligure di ponente Pigato
* v’è chi preliminarmente trifola per alcuni minuti i carciofi a fuoco vivo (con eventuale aggiunta di dado), e quindi li aggiunge al pesce molto più tardi, circa 5 minuti prima che termini la cottura…

Umberto Curti
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Storia e tradizione dell’orata coi carciofi li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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giovedì 20 gennaio 2011

Lumache in zimino

lumache: da Varrone a Plinio ad Apicio,
talvolta "affogate" nel garum...

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)Una cinquantina di lumache con la limacella intatta, 1 spicchio d’aglio di Vessalico, 1 cipollotto, 4 pomodori maturi, odori (rosmarino, prezzemolo), 1 bicchiere di vino bianco secco, olio extravergine, 1 bicchiere abbondante di aceto bianco, sale q.b.

Preparazione (2 ore abbondanti)Lavare benissimo le lumache senza intaccare la limacella. Porle in abbondante acqua fredda salata e far bollire per 100 minuti, quindi estrarre, con l’apposita forcina, i molluschi dalla loro valva. Nuovamente lavarli benissimo in acqua calda addizionata d’aceto (un tempo era acqua di mare), onde eliminare il viscido, e scolarli. Rosolare intanto qualche minuto in olio il trito d’aglio, cipolla e odori (se piace anche menta piperita), unire le lumache e aggiustare di sale. V’è chi aggiunge anche funghi secchi ammollati e strizzati. Dopo circa 5 minuti unire anche la polpa dei pomodori tritata, e sfumare col vino, a fuoco lento, per un’oretta. Il piatto si degusta ben caldo, ottimamente su crostini. Ne esistono molte varianti, anche piccanti (con pepe). L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un IGT Colline Savonesi Lumassina o – per via del pomodoro - un DOC Ormeasco sciac-trà (rosato). Zimino in Liguria è una cottura in umido con biete, si fanno in zimino lo stoccafisso, le seppie, le trippe, i ceci

Umberto Curti
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Storia e tradizione delle lumache li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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mercoledì 19 gennaio 2011

Marò di fave (pestùn de basann-e)



Ricetta (ingredienti e quantità)3 hg di fave molto fresche (novelle), tenere, di sapore dolce, mezzo o 1 spicchio d’aglio di Vessalico, un ciuffo di foglie di menta fresca, 30-40 g di vero fiore sardo grattugiato oppure pecorino brigasco (IM), 4 cucchiai (70 g circa) di extravergine ligure, sale grosso q.b.

Preparazione (tempo pochissimi minuti)Sbucciare con cura le fave e pestarle nel mortaio. Continuando a pestare, aggiungere l’aglio e la menta spezzettata, fino ad ottenere un composto ben amalgamato. Unire ora il fiore sardo (che bilancia la trasudazione delle fave) e legare versando l’olio lentamente, a filo. Regolare infine di sale (e, se piace, di pepe ma io dissento), lasciando la salsa un po’ fluida. Il pestello deve lavorare bene anche sulle pareti del mortaio, che verrà girato servendosi delle 4 orecchie (sporgenze tonde). Il marò è una tradizione primaverile del Ponente (in diverse varianti), ormai introvabile. Con alcuni tipi di pasta "rustica" (piccagge matte, avvantaggiate...) rivaleggia col pesto. Si accompagna perfettamente a bruschette, baccalà, carni arrosto o ai ferri. Il vino dipende chiaramente dal tipo di piatto, ma l’abbinamento è un po’ disagevole

Umberto Curti
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Storia e tradizione del marò di fave li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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martedì 18 gennaio 2011

Machetto di sardine (o di acciughe)



Ricetta (ingredienti e quantità)Mezzo kg di sardine (ormai sovente acciughe), 1 bicchiere d’extravergine ligure, 5 cucchiai di sale grosso

Preparazione (tempo pochi minuti. 30-45 giorni la salagione)In un contenitore di terracotta, o nella classica arbanella di vetro, si dispongono, dopo aver rimosso con cura teste e ventrali (interiora), i pesci a strati, ben integri. Ogni strato una spolverata di sale grosso, fino alla sommità del contenitore. Riposeranno per una trentina di giorni (ma si arriva anche a 45), pressati da un disco di ardesia o da altro peso piatto. V’è chi nel frattempo li rimescola, chi no. A questo punto il composto passa nel mortaio o nel mixer, ottenendo una pasta da imbarattolare ben coperta dall’olio. Attenzione: non occorrono ingredienti per renderla più piccante. L’abbinamento enologico è difficoltoso, e sempre in rapporto al piatto con cui si accompagna il machetto, di solito (stemperandolo) si tratterà di focacce, di pasta, di sardenaira, e di pesci e carni lessati. Ricorda il garum degli antichi romani (e la colatura di alici di Cetara), e come il garum sta diventando introvabile. La pasta d’acciughe infatti, sebbene sapida, non è che una sbiadita fotocopia dell’originale

Umberto Curti
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Storia e tradizione del machetto li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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